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Buon 8 marzo, pensando anche alle afgane
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Buon 8 marzo, pensando anche alle afgane

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Buon 8 marzo, detto con tutta l’amarezza possibile. In un Paese, l’Italia, dove l’occupazione femminile è scesa al 49%, il dato peggiore dal 2013.

Complice il covid, la perdita di posti di lavoro nel terziario, l’impresa spesso insostenibile di lavorare a distanza, cioè da casa coi figli a loro volta in dad… Ma non è che prima andasse molto meglio: nel 2019 la percentuale di italiane occupate era del 50,1%. Sempre di una su due parliamo.  Basta spulciare l’attualissima ricerca effettuata dall’Inail per intristirsi ( https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dossier-donne-2022.html ). Un 8 marzo segnato anche da un gigantesco esodo. Partono dall’Ucraina migliaia di donne, profughe di guerra, coi loro bambini o sole: si prevedono 500mila arrivi solo in Italia. Poi, siccome al peggio non c’è mai fine, ricordiamo le donne afgane che la libertà avevano appena iniziato ad assaporarla quando sono ripiombate nell’oscurantismo talebano. Già dimenticate, vero? Noi no e neanche le tre bravissime colleghe che le hanno intervistate – Didi Gnocchi, Sabina Fedeli e Anna Migotto -, anzi che hanno intervistato le poche che possono parlare perché in salvo all’estero. Mentre le loro sorelle in patria sono come murate vive. Ve le ricordate le scene dell’aeroporto di Kabul, cui l’Occidente intero ha guardato col disagio dei propri sensi di colpa, salvo presto dimenticare? “Noi donne afgane” è il titolo del documentario (di 3D Produzioni, col supporto di due associazioni italiane, Chiamale Storie e Donne per le Donne) che va in onda stasera alle 21,15 su Sky Documentaries (canale 122). Emozionante. Gnocchi, Fedeli e Migotto parlano con una voce sola: “Le abbiamo incontrate in giro per l’Europa per farci raccontare la vita che hanno vissuto in questi vent’anni di pausa dalle leggi della sharia. Hanno potuto studiare, viaggiare, lavorare, ascoltare musica. Avere un sogno e realizzarlo. Avere uno spazio vitale e respirare. Un percorso ancora per poche privilegiate ma che, con le scuole finalmente aperte anche alle bambine, stava diventando una lunga, lenta strada verso la conquista di una parità di genere e di diritti. E di un futuro per tutte le donne afghane. Ma questa conquista di normalità nel loro paese sarebbe diventata la loro condanna se non fossero fuggite in tempo dall’aeroporto di Kabul…“. Le otto intervistate sono Roya Heydari fotografa, Sahraa Karimi regista, Mahbouba Seraj giornalista e poi la sindaca Zarifa Ghafari, quindi Samira Asghari che è una sportiva, l’imprenditrice Zahra Hamadi, l’insegnante Pashtana Durrani e infine un’attivista di cui per prudenza si dà il solo nome proprio: Amina.

       
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